Visita guidata
L'accesso a Pistoia Sotterranea è consentito solo con una visita guidata della durata di circa 1 ora
Il percorso di Pistoia Sotterranea si articola per circa 900 metri sul letto dell’antico torrente Brana. Per permettere una migliore lettura del sito viene applicato lo standard del “Museo parlato” ovvero la visita guidata inclusa nel biglietto di ingresso per offrire una migliore lettura del sito e una maggiore interazione con la guida a 360° sull’argomento storico.
L’accesso è fruibile ai disabili motori con rampe di accesso e un sistema sperimentale a tappe di pannelli in braille con schemi della planimetria del sotterraneo per i non vedenti. Mentre per la parte archeologica abbiamo ritenuto opportuno riprodurre i manufatti ceramici rinvenuti nella bonifica del sito. Ceramiche prevalentemente per l’assistenza ospedaliera e di marcata provenienza di Montelupo Fiorentino.
La visita inizia con un accesso intermedio rispetto all’andamento dell’antico torrente, e appena entrati viene introdotta l’origine del sito dal punto di vista idrografico in rapporto con le fasi di sviluppo della città. Contestualmente viene sottolineato l’aspetto della cintura sanitaria: la città di Pistoia si munisce di molti Hospitales presso il Brana, ma nella sponda fuori le mura, anche perché con l’avvento della reliquia di San Jacopo in città si sviluppò il fenomeno di massa comunamente detto Iter Compostellanun.
Il fatto di introdurre questo aspetto di avere hospitales di attestamento al nucleo urbano introduce la scelta di posizionare l’ospedale del Ceppo in quel sito “sul Brana” nel 1343 quando con la scusa di un miracolo due banchieri Pistoiesi donano una forte somma ai francescani terziari minori già infermieri presso l’Hospitals in capite Pontisis posto a pochi metri di distanza. L’evoluzione del manufatto architettonico “sul Brana” e il primitivo ospedale presso il ponte sono un altro elemento descritto nella visita ben visibile nella stratificazione dell’archeologia dell’alzato della successione delle volte presenti.
Un’altra tappa fondamentale per spiegare il percorso sono i cosiddetti butti (aperture sulle volte) dove la presenza delle ceramiche ospedaliere buttate nel torrente, dopo esser state dismesse, documentano in maniera univoca il modo di assistenza, ovvero la tipologia vascolare in uso per la somministrazione di medicine e grazie ai simboli presenti sul materiale, si comprende bene il cambio di gestione dell’ospedale avvenuto dopo il 1501 a favore di Firenze a discapito dei Cancellieri nell’annosa lotta con i Panciatichi. In questo punto si fa vedere e toccare i manufatti riprodotti dai ceramisti di Montelupo Fiorentino che hanno usato stesse tecniche di lavorazioni, stesse terre, stessi decori e possiamo dire essendo prodotti artigianali “stesse mani”.
Dopo aver spiegato la presenza di manufatti nel sito dell’alveo ci si affaccia al grande voltone, ovvero la zona di fusione fra l’ospedale del Ceppo e l’antico ospedale del 1247 documentato presso il ponte gestito dalla compagnia dei Servi di Maria del Ceppo che scomparirà nei documenti d’archivio proprio agli inizi del quattrocento.
Contestualmente viene spiegato perché l’ospedale del ceppo ha il sopravvento sugli altri piccoli ospedali presenti nella stessa zona lungo il Brana, ovvero oggi potremmo dire che la mission della struttura era Albergare i Pellegrini: la sosta in questo ospedale per almeno un giorno, il rituale del lavaggio dei piedi poi l’autorizzazione ad entrare in città, ovviamente con un obolo “significativo” per la congregazione che l’aveva ospitata.
La visita comunque sottolinea altri aspetti del pellegrino ospitato, in primis se aveva un bubbone nero addosso, non entrava (aveva la Peste), il secondo più economico e evidente: all’ospedale mi curano il corpo ma l’anima? Quindi chi se lo poteva permettere pagava il pellegrino in transito a Pistoia per fare l’Iter per conto terzi. L’avvenuto Pellegrinaggio da Pistoia a San Jacopo è documentato dalle “capesante” rinvenute in sito, ovvero le conchiglie trovate nei butti. Oggetti che venivano dati dal pellegrino di ritorno da Santiago di Compostela al committente malato (se ritrovato vivo) che, mangiando con la conchiglia espiava tutte le colpe in vita. In caso di decesso dell’ammalato il garante era la congregazione del Ceppo che aveva incamerato tutti i suoi averi per lo scopo. Potremmo parlare di un vero e proprio affare! E possiamo immaginare il business che si era creato con questa tipo di assistenza.
Un altro passaggio fondamentale è la visita del mulino e frantoio sotto l’omonima strada, recuperato in due distinte fasi con qualche difficoltà idrauliche. Il Mulino, già presente alla fine del XIII secolo, accorpato all’ospedale e “fuso” fisicamente con la successione di volte, produceva la farina di castagne con cui venivano fatte le “pappine” ovvero le pappe curative per gli ammalati servitenell’apposito piatto, ritrovato anche nei sotterranei, chiamato appunto pappina.
Il ponte Romano e le Oblate.
Tappa fondamentale del percorso le due fasi edilizie dell’ipogeo nel tratto di fusione tra l’Ospedale del Ceppo e il corpo del complesso dell’Ospedale delle Monache Francescane di Santa Maria Nuova dette dell’Oblate. Il tutto appoggiato su un pilone di ponte Romano riutilizzato con allineamento del fornice per il coronamento della fase di espansione del “Ceppo“nelle fasi tardo rinascimentali. La necessità di collegare la Tuscorum Florentis a Luca dopo il fallito tentativo di Catilina di osteggiare il triumvirato romano, già in crisi, a suo favore con Cesare impegnato ma sospeso da Console in Gallia e Crasso in Partia con Pompeo a Roma. Il resto è storia. Cesare fondò la moderna Firenze per “seccare” e isolare Fiesole ormai città etrusca ribelle e mandò in pensione ben 3000 ex veterani della X Gemina a fondare una colonia nel punto più stretto dell’Arno, e per ottenere ciò assegnò il territorio ai coloni e spostò la Cassia Clodia come collegamento principale per Lucca attraversando Pistoria, come si evince sulla Tabula Peutingeriana,nel periodo imperiale. L’oppidulm di Pistoia grazie a questo percorso, da insediamento marginale, diventa ben presto una temuta città Ghibellina sotto l’imperatore Federico Barbarossa. Il Ponte è appunto largo 12 piedi quando le strade e le centuriazioni venivano organizzate dal decimo decumano e non dalla classica centuriazione repubblicana.
Il Convento delle Oblate
L’imponente sezione di volte che si aprano sopra il percorso, dopo il ponte Romano, sono l’attestamento voluto da Leonardo Buonafede Spedalingo dell’ospedale del Ceppo, anche a Pistoia della congregazione fondata da Monna Tessa a Firenze. L’arrivo delle Oblate a Pistoia, voluto dal rettore benedettino, portò un notevole rinnovamento sanitario per l’ospedale del Ceppo: divise infatti gli uomini dalle donne in due distinte strutture. Nella corsia di San Jacopo gli uomini, e in quella della SantissimaAnnnunziata le donne, divise fisicamente da un ampio chiostro, e con funzioni specifiche, tant’è che nella realizzazione del loggiato, sempre voluto da Buonafede, con l’imponente Fregio, si leggono non solo le funzioni e le attività esterne dell’ospedale verso i più bisognosi ma si identifica bene anche il posizionamento dei reparti dove vengono svolte le funzioni.
La zona della ex corsia delle donne è ancora ben individuabile, attuale sala attesa CUP, e sul pavimento risalta il grande stemma degli Asburgo Lorena che finanziarono il “rinnovamento” dell’Ospedale a metà del XVIII secolo.
Le Mura di via del Ceppo
Lungo il percorso dell’ipogeo sono ancora visibili le antiche mura “comunali”, divenute in ampi tratti fondamenta stesse dell’ampliamento dell’Ospedale del Ceppo, e sono ben identificabiliin particolare nella zona di Via del Ceppo e nella zona finale detta delle Convertite. Dalla documentazione archivistica risulta l’acquisto da parte degli Agostiniani del materiale di risulta delle demolizioni delle vecchie Mura utilizzate per ampliare il loro Convento di San Lorenzo. In questa zona del percorso spicca anche un’enorme palla da trabucco rinvenuta nella fase di pulitura della Gora. L’aspetto interessante è che il manufatto è di un materiale geologicamente non di Pistoia, in pietraforte, quindi probabilmente proveniente dalla cava di pietre di Boboliprima che diventasse lo splendido giardino voluto da Alessandro Medici per Eleonora di Toledo.Un importante testimonianza dell’assedio di Firenze (Guelfa) contro Pistoia (Ghibellina). Ben 58Kg di peso capace di bucare da parte a parte le mura di un metro di Pistoia.
Il Ponticello dell’ospedale di Sant’Jacopo e Lorenzo
Altra tappa del percorso il ponticello che si osserva nell’ipogeo in Piazza San Lorenzo in asse con l’omonimo Hospitales sopra citato e gestito dagli Agostiniani. Un Ospedale per Fanciulle dove la leggenda narra che, grazie all’apparizione della Madonna una fanciulla guarì miracolosamente, e l’immagine della Madonna rimase impressa sulla testata del letto. Ben presto l’antico Ospedale per fanciulle, divenne luogo di culto e nel 1480 su di esso fu costruita la prima chiesa Mariana della città col nome Santa Maria della Grazie, detta del Letto. I Pistoiesi la venerano come Chiesa del Letto, per la presenza del letto della miracolata al suo interno, e ancora oggi molte persone vi si recano per chiedere una grazia.
I lavatoi di San Lorenzo e la ferriera Beccaccini.
Nel percorso, appena lasciata piazza San Lorenzo, ci si imbatte in progressione nei lavatoi di san Lorenzo, nelle tre fasi distinte di ampliamento dal XII sec. al 1875, e subito dopo nella vicina ferriera.
I lavatoi testimoniano nella storia la presenza di zone dove si lavavano i panni prima direttamente in Brana poi nelle vasche realizzate in due distinti ampliamenti, ben visibili, uno tardo cinquecentesco e uno con la modifica della struttura quando col movimento igienista Europeo, maturò la necessità di “tombare” tutti i corsi d’acqua urbani a favore di acquedotti, e questo grazie anche alla scoperta del pistoiese Filippo Pacini che scoprì il virus del colera proprio analizzando l’acqua dei “bozzi” (lavatoi).
Fino ad allora si lavava nei lavatoi alimentati dai corsi d’acqua, usanza andata avanti fino all’avvento della lavatrice in Italia nel dopo guerra. Sempre dai documenti d’archivio apprendiamo che nei Lavatoi di San Lorenzo, era vietato prendere le anguille dalla pescaia a valle, e tenere i cocomeri in fresco. Evidentemente qualcuno li avrà utilizzati per scopi bene diversi che dal lavarci i panni e la pena era tre strette di corda! Considerando che si lavava a valle di un Ospedale che usava il Torrente per fogna naturale, i virus trovavano ampia diffusione.
Poco dopo troviamo la ferriera Beccaccini, che con i suoi meccanismi presenti nel percorso testimonia ancora un altro aspetto: la presenza di attività produttive nella zona lungo il dismesso torrente ormai ridotto a Gora per le necessità di approvvigionamento idrico nel settore urbano, e la nascita della Pala Pistoia.
La Ferriera viene realizzata dalla Famiglia Beccaccini, presso la zona di Piazza San Lorenzo, la cui attività del del maglio azionato dal meccanismo di una ruota vitruviana, dà il nome anche alla strada, che si chiama infatti via del Maglio. Al di là di un’efficiente officina dell’800, la Ferriera dà i natali all’omonima Pala Pistoia: sempre dai documenti risulta infatti che all’officina fu commissionata, dal vivaio della famiglia Gherardinila realizzazione di una nuova pala da produrre in grande quantità e con miglioramenti funzionali rispetto alla pala tradizionale per far fronte alla fornitura di grosse quantità di piante ornamentali richieste dalla nuova capitale d’Italia Firenze.La pala doveva essere con le caratteristiche senza “ali” per agevolare la messa a dimora delle piante dai vasi senza tranciare le radici. La Pala venne brevettata nel 1875 e presentata alla Fiera Circondariale di Pistoia, una “Arts and Craft” tipicamente Pistoiese ed è ancora oggi utilizzata nei vivai.
Ne aque eleventur
La scritta datata VII-VIII secolo dagli archeologi epigrafisti testimonia l’unica scritta Longobarda d’Italia sulla gestione pubblica a scopi privati dell’acqua. La pietra scolpita fu da me individuata, insieme a SimoneZini, in prossimità del Ponte di San Lunardo, ma come spesso accade alcuni personaggi cercarono di creare problemi anche per questo ritrovamento che fu subito segnalato agli uffici competenti. Furono poi contattai esperti del settore per capire cosa poteva identificare una scritta così perentoria L’acqua non può superare quel livello.
Di fatto si tratta della prima e documentata iscrizione idraulica per segnalare che in caso di piena l’acqua avrebbe danneggiato il mulino di San Bartolomeo che si trova a valle del percorso ed è uguale al mulino di via del Frantoio, ma non è ancora stato scavato. Alimentato da una deviazione del Brana da un’altra Gora, chiamata appunto dei Regolari di San Bartolomeo, e dismessa con la chiusura dell’attività agli inizi del XIX secolo.
L’antica Gora che si percorre nel sotterraneo aveva un livello di guardia per indicare il troppo pieno ed in caso di emergenza doveva essere aperta una calla laterale per fare stramazzare l’eccesso d’acqua in Brana.
Sempre la scritta Ne aqueeleventur, apposta al tempo ad un livello molto più alto del corso dell’alveo, demarcava la quota di pescaggio dell’acqua pubblica a fronte dell’uso privato, ovvero la regola tutt’oggi normata nella gestione delle acque pubbliche del divieto di attingere dall’alveo in caso di magra per garantire il regolare deflusso dell’acqua a valle. Si pensi che nel 1527 Zenobi Bartolini Commissario della Gore di Firenze intervenne per mettere a regola gli abusi diffusi sui corsi delle gore cittadine che avevano determinato la carestia d’acqua in città. La pena era severissima in caso di infrazione, l’impiccagione. Quindi una iscrizione di duplice funzione. Iscrizione non segno e qui l’aspetto archeologico più rilevante.
La zona delle Convertite, il ponte di San Lunardo alla Porta Guidi e le mura civiche
Addossati e sovrastanti all’iscrizione nella parte terminale delpercorso una stratificazione significativa di strutture.Sopra l’iscrizione si elevano i voltoni poggianti fra pilastri quadrangolari e le strutture medievali dell’ampliamentodel Convento delle Convertite, …che gestiscono uno xenodocchio sul Branapreso il ponte di San Lunardo, dinanzi alla porta Guidi. Infatti nella zona si osserva, accompagnati dalla guida, un’altra importante evoluzione architettonica delle strutture in parte ipogee e in gran parte emergenti sopra il piano di calpestio stradale.
In primis ancora visibili le mura civiche con il continuo delle strutture che ci accompagnano dall’inizio della visita e sempre sulla nostra destra di percorrenza, quindi la parte fuori dalle mura, che vengono scapezzate e riusate per le nuove fondazione di nuovi corpi di fabbrica.
Lo stesso imponente ponte a sei arcate di San Lunardo, dall’omonima chiesa dirimpettaia, viene riusato, con lo spostamento del Brana, nell’attuale percorso come matrice di sviluppo per le nuove fondazioni dell’ampliamento del convento, di cui si vede oggi solo il pilone prossimo alle mura e un semi arco della struttura. Dell’ antica porta si nota solo l’estracorsa del ponte levatoio e alcuni manufatti lapidei coronati e un concio in pietra serena bugnato, resti di manufatti decorativi della porta che si apriva lungo la via di San Bartolomeo/San Marco.
Un aspetto interessante, che al lettore non sarà sfuggito, è che proprio in questa zona è presente la più antica testimonianza archeologica, l’iscrizione, e una fase interessante di successioni edilizie, che in gergo si chiamano archeologia dell’alzato.
Un altro aspetto messo in luce è la presenza di uno “xenodocchio” presso un ponte, un Hospitale dedicato agli stranieri fuori delle mura e presso un ponte. Ma anche il primo Hospitales a monte era presso un Ponte, come l’Hospitales delle fanciulle di San Jacopo e Lorenzo presso il ponticello dei fraticelli, mentre i successivi Hospitales più “recenti” il Ceppo e l’ospedale delle donne delle Oblate sul Brana. Si tratta quindi di una testimonianza di un grande settore urbano extra moenia, a cintura sanitaria con specifiche funzioni di assistenza. E le convertite si occupavano proprio di offrire un servizio per gli stranieri. Congregazione religiosa che se si vuole è la più curiosa e poco studiata, in quanto polmone sociale delle prostitute, che raggiunte il limite di età per non morire di fame si “convertivano” e diventavano monache dedicate all’assistenza ospedaliera.
Il percorso di Pistoia Sotterranea, racconta la stratificazione urbana di una città che sfrutta l’acqua, uno dei suoi beni più preziosi, che determinano un intero comparto a vocazione sanitaria, ma nel contempo il sito documenta le matrici storiche che hanno caratterizzato questa zona inclusi gli aspetti sociali, culturali che essa rappresenta.